GUIDO NEGRI E NOI FANCIULLI
(foto inedita del giovane Guido, l’originale è visibile nella mostra)
“Il Patronato del SS. Redentore aveva, nell’ordine, 2 gerarchie. La prima era quella dei Preti Reverendi; la 2a quella dei capisquadra. I Preti Reverendi erano Don Angelo e Don Andrea Pelà, fondatori, fratelli dal cuore aperto; Don Giovanni Fontana che faceva teatri, Don Pietro Rizzo – Don Luigi Bailo – Don Enrico Casadio che facevano la cura diligente delle nostre anime nelle preghiere e nei sacramenti.
La 2a gerarchia era quella dei capi delle squadre secondo l’età dei ragazzi alunni. I nomi, grandi ancora dentro di noi, erano questi: Felice Cortellazzo, un vecchino bianco, magro e stecchito; Angelo Vigato, che sapeva di musica e faceva gli organi e i canti belli in Chiesa; Benvenuto Zordan, che aveva cura del nostro mangiare nelle merende, e lavorava gli orti con il Padre Giacinto e i fratelli Aldo e Marino; Luigi Cerchiari – sartore che cuciva i vestiti buoni di rigatino e spinato con faldoni e madreperle, per noi che eravamo nei poveri o quasi; Gregorio Morè, che era sempre nelle sante orazioni e che dopo andò in Verona da Don Calabria; e distinto e fine, Guido Negri, il più giovine. Don Angelo gli aveva affidato i ragazzi già nel ginnasio di Giovanni Rossi, Preside, padre di Sebastiano, che entrò poi nei Seminari, ma che morì presto.
C’erano poi i musicanti del maestro Adolfo Ferioli, i Luigini di lui Guido Negri, i teatranti nelle commedie diretti da un avvocato giovane che era il Faccioli. Era, quello, un giovine mondo innocente, sempre in festa e sempre nei lavori, tutti i pomeriggi fino a quando al Duomo e alle Grazie suonavano le Ave Marie. Amiche e protettive ci erano alcune mamme e la Clementina passata dai Fracanzani al patronato per accudire alle faccende domestiche.
Guido Negri era, fra i capi delle squadre, quello che ci metteva nei riguardi. Piuttosto alto, con la fronte che acquistava spazi nuovi perché i capelli cadevano, con la persona nell’eleganza, e il colletto bianco inamidato e lucente, e la cravatta, di solito, nel nero di seta cordonata. All’occhiello sinistro portava un distintivo bianco-nero di terziario domenicano.
Non faceva fatica alcuna a dominare noi, suoi sudditi fanciulli, perché bastava quel suo sguardo tra il severo e il fraterno, bastava il suo parlare senza il dialetto per sovrastarci. In verità il Bernardi, il Fadini, il Morini, il Morosini, i due Pirezza, il Magnaguagno, e io che scrivo non eravamo sempre nelle discipline. Qui, Guido Negri, ci aiutava ad esserlo, non soltanto perché era un signore educato, ma perché era tutto negli esempi buoni. Era giovine molto, ma pareva vecchio, tanto era savio.
Quando la nostra squadra, dopo il doposcuola, dopo la merenda, entrava nelle prove dei teatri, insegnava il recitare.
Era bello anche nei timbri della voce, nel gestire, e nel fare gli esempi utili di quello che dovevamo rappresentare. Un anno, eravamo mi sembra, nel 1912, scielse un teatro del Metastasio, il Giuseppe Riconosciuto. Si preparò con pazienza molta, e tanto che dovemmo rappresentarlo a richiesta nel teatro grande sopra la Chiesa del Collegio Salesiano, una sera dietro l’altra a Carnevale. Io che ricordo queste cose beate ero il personaggio di Asfeneto. Nella nostra memoria Guido Negri era in alto per via della signorilità dei modi, del sapere poetico, del molto insegnarci a fare le sante orazioni.
A me insegnò anche il panegirico, nella festa del Patrono, il 21 giugno. Una delle sue sorelle mi stirò il camice bianco, mi donò il cordone celeste con i fiocchi, e il sarocchino azzurro, con lo stemma dalla parte del cuore. Questa presenza non l’abbiamo dimenticata mai, nessuno di noi, neppure i distratti, come il Cortellazzo, che erano un poco rivoluzionari nel temperamento.
Egli, Guido Negri, non parlava mai di se medesimo, mai. Perché a vero dire, parlava con gli atti di ogni giorno. Erano, questi, la Santa Comunione a mezzogiorno, ogni giorno, nel Duomo Abbaziale, con un suo amico un poco rossiccio nei capelli, Cesare Padovan. Erano gli esempi del parlare, nella Chiesa delle Grazie, tra i Terziari domenicani, con il sarocchino nero. Per parecchi di noi, anche per me testa dura, era, nel pomeriggio, 3 volte la settimana, l’insegnamento della lingua francese. Erano frequenti i doni mangiativi che in nome suo ci venivano portati dai rivendurioli che giravano la nostra cara città.
Di Guido Negri avevamo rispetto, si, ma anche venerazione. Parlava poco, pochissimo, ma nelle ore sue non ci abbandonava mai. Se ben ricordo, rendeva tutto spirituale come i giochi, le luminarie, i fuochi negli artifici e le lotterie nella festa del Redentore, che durava anche 3 giorni, nel mese di luglio”.
Cliccando al link qui sotto, si può vedere il manifesto esposto alla mostra.
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